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Tregua fiscale: come cambia la definizione agevolata delle liti

Tregua fiscale: come cambia la definizione agevolata delle liti

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, le novità del DL n. 34/2023, convertito con modificazioni, dalla L. n. 56/2023

Quali sono le novità sulla definizione agevolata delle controversie tributarie? Ad analizzare le modifiche apportate dal DL n. 34/2023, convertito con modificazioni, dalla Legge n. 56/2023, l’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Le novità in materia di tregua fiscale” pubblicato oggi, 28 settembre. In particolare, l’articolo 20 della legge citata, con riferimento alla definizione agevolata delle liti tributarie pendenti alla data del 1° gennaio 2023 presso le Corti di Giustizia tributarie di primo e secondo grado e presso la Corte di Cassazione, in cui sia parte l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, posticipa al 30 settembre 2023 il termine per la presentazione della domanda di definizione agevolata. Il documento della Fondazione Studi fornisce poi indicazione sulle modalità di presentazione dell’istanza e un riepilogo dei nuovi termini e delle modalità di versamento. Nella parte finale del documento, esaminate le modifiche riguardanti la conciliazione agevolata delle liti tributarie e la rinuncia agevolata dei giudizi tributari pendenti in Cassazione.

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In Spagna licenziare è facile

In Spagna licenziare è facile

Nel Paese iberico prevalgono i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine, ma per il datore di lavoro sciogliere un rapporto di lavoro è estremamente semplice

In Spagna crescono le assunzioni a tempo indeterminato, ma licenziare un lavoratore è molto semplice per l’azienda. Il modello occupazionale iberico, dunque, non rappresenta un esempio virtuoso di stabilità, tantomeno una prassi da imitare per l’Italia. È quanto emerge dall’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dal titolo “In Spagna licenziare è facile”, pubblicato oggi. La riforma del lavoro spagnola – definita dal Real Decreto-ley n. 32/2021 – ha portato ad un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato in virtù dell’introduzione di un’unica tipologia di contratto a termine (con una causalità stringente e circoscritta) e di un minore impatto delle indennità di licenziamento sull’impresa rispetto a quanto accade nel nostro Paese. In Spagna le aziende possono licenziare legittimamente nei casi “oggettivi”, previsti dall’ex art. 52 dello Statuto dei lavoratori, o in caso di licenziamento disciplinare, di cui all’art. 54. In quest’ultima ipotesi, inoltre, non è previsto il pagamento di alcuna indennità; mentre in Italia non solo esiste l’obbligo del preavviso di licenziamento, ma anche quello di corrispondere il trattamento di fine rapporto (TFR) al dipendente dimissionario. In assenza di un valido motivo per licenziare, il licenziamento si considera “improcedente” e l’azienda deve pagare al lavoratore una sanzione equivalente a soli 33 giorni di salario per ogni anno di anzianità lavorativa, per un massimo di 24 mesi. In Italia, invece, il giudice può decidere tra la reintegra del dipendente e il versamento, in capo al datore di lavoro, di un’indennità variabile tra 6 e 12 mensilità o tra 12 e 24 mensilità, a titolo di risarcimento, oltre al riconoscimento del TFR. Tra le altre tipologie di licenziamento previste dal modello spagnolo, infine, va ricompresa quella derivante da cause economiche o per ristrutturazione dell’impresa. In tal caso, al dipendente licenziato viene corrisposta un’indennità pari a 20 giorni per ogni anno di servizio, fino a un massimo di 12 mesi. In materia di tutele e garanzie per i lavoratori, dunque, la Spagna ha poco da insegnare all’Italia.

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Come cambia il tempo determinato: un focus

Come cambia il tempo determinato: un focus

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, le modifiche alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi

La nuova disciplina del contratto a termine nell’ultimo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Riflessioni sul contratto a termine dopo la conversione del D.L. 48/23”, pubblicato oggi, 3 agosto. Con l’articolo 24 del decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 (c.d. Decreto Calderone o Decreto Lavoro), convertito con modificazioni dalla L. 3 luglio 2023, n. 85 (in G.U. 03/07/2023, n. 153), il legislatore ha ulteriormente variato la fattispecie del tempo determinato, con conseguenze significative per lavoratori e datori di lavoro. Al centro della disamina, in particolare, le condizioni che consentono di estendere ai rinnovi la proroga libera nei primi 12 mesi (quindi l’introduzione di un ambito di acausalità), nonché il metodo di calcolo corretto del termine dei 12 mesi.

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Primi problemi applicativi della riforma del lavoro sportivo

Primi problemi applicativi della riforma del lavoro sportivo

Nell'approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, tutte le fattispecie giuslavoristiche interessate dal provvedimento

A pochi giorni dall’entrata in vigore della riforma del lavoro sportivo, prevista per il 1° luglio, emergono alcune criticità. È quanto sostiene la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell'approfondimento pubblicato oggi dal titolo “Primi problemi applicativi della riforma del lavoro sportivo”. A destare dubbi, in particolare, il fatto che i destinatari della normativa presentino – come si legge nel Documento – “valori disomogenei e difficilmente monitorabili, visto che, secondo quanto riferisce il Ministro dello Sport, la riforma dovrebbe coinvolgere una platea di circa 500mila soggetti, in massima parte detentori di compensi inferiori a cinquemila euro all’anno, mentre il CONI riporta sul proprio sito un numero di 1,4 milioni di operatori del settore con 140mila fra ASD e SSD affiliate a uno o più organismi riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano”. Nel tentativo di fare chiarezza, il documento analizza tutte le fattispecie giuslavoristiche interessate dalla riforma: dalla definizione di “rapporto di lavoro sportivo” al rapporto di lavoro subordinato sportivo e professionistico, passando per il settore dilettantistico e l’apprendistato. Nel Documento, poi, trova spazio la promozione della parità di genere a opera delle Regioni, delle Province autonome e del CONI, nonché la fiscalità dei redditi, che non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all’importo complessivo annuo di 15mila euro, e il regime fiscale dei premi. Tra i temi approfonditi, poi, anche le collaborazioni a carattere amministrativo gestionale, le attività dei volontari; ma anche le novità sul piano contributivo, l’assicurazione contro gli infortuni e gli altri adempimenti (Unilav e Lul).

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Le novità Irap 2023

Le novità Irap 2023

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, l’ambito di applicazione dell’imposta e la semplificazione per i lavoratori dipendenti introdotta dalla dichiarazione 2023

L’esclusione dall’ambito di applicazione dell’imposta per le persone fisiche esercenti attività d’impresa commerciale e arti e professioni, ma anche la semplificazione delle deduzioni per il personale dipendente. Sono le principali novità introdotte dalla dichiarazione Irap 2023 – relativa al periodo d’imposta 2022 – analizzate nel dettaglio nell’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Le novità Irap 2023”, pubblicato oggi, 30 maggio. Sotto il primo profilo, il documento chiarisce il perimento di esclusione dell’imposta, con particolare riguardo alle imprese familiari e a quelle coniugali non gestite in forma societaria; per poi definire quelle che, invece, vi restano soggette. Sotto il secondo profilo, la lente della Fondazione Studi è rivolta alla semplificazione introdotta al quadro IS, soprattutto alla regola secondo cui “nella determinazione della base imponibile è pienamente deducibile il costo del lavoro dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, mentre per i contratti di lavoro diversi sono deducibili alcune tipologie di spese nonché spettano alcune deduzioni forfetarie”. Focus, poi, sugli altri lavoratori ammessi in deduzione e sulle modalità di ragguaglio della detrazione, nonché sul caso di distacco e somministrazione di lavoro.

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Equo compenso: prime valutazioni

Equo compenso: prime valutazioni

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, i chiarimenti sulla nuova disciplina dei parametri e sul ruolo degli Ordini professionali previsti dalla legge 49/2023

Il parere di congruità emesso dall’Ordine o dal Collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate e se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista. È uno dei principi stabiliti dalla legge 49/2023 che disciplina l’equo compenso per i professionisti (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 104/23), al centro dell’ultimo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Equo compenso: prime valutazioni”, pubblicato oggi, 16 maggio. In particolare, il Documento si concentra sugli aspetti salienti e sugli elementi di novità del provvedimento, la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 20 maggio: per esempio, sull’art. 5, comma 4, secondo il quale i Consigli nazionali degli Ordini o Collegi professionali sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso. “Trattasi di una previsione molto importante – si legge nell’approfondimento – che attribuisce ai Consigli Nazionali un interesse ad agire processualmente a tutela del rispetto della normativa sull’equo compenso, in un’ottica di garanzia della legalità, essendo tali Consigli espressione di enti di diritto pubblico”. Spazio, poi, alla questione parametri, che in forza della normativa dovranno essere aggiornati ogni due anni su proposta dei Consigli Nazionali degli Ordini o Collegi professionali e che nulla esclude possano essere utilizzati “anche al di fuori del perimetro applicativo di tale legge”.

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Bilanci 2023 esercizio 2022: le disposizioni in deroga

Bilanci 2023 esercizio 2022: le disposizioni in deroga

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, le novità e i differimenti introdotti dal Decreto Milleproroghe alla disciplina civilistica in materia di bilanci

Tutte le deroghe previste dal Decreto Milleproroghe all’ordinaria disciplina dei bilanci 2023 nel nuovo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Bilanci 2023 esercizio 2022: le disposizioni in deroga”, diffuso oggi, 9 maggio. Nel Documento, focus sull’applicabilità alle assemblee sociali delle S.p.A. e delle S.r.l. tenute entro il prossimo 31 luglio delle norme che consentono il ricorso ai mezzi di telecomunicazione (art. 106 D.L. n. 18/2020). A tal proposito, si ricorda che il comma 1 della citata disposizione posticipa il termine entro il quale l’assemblea ordinaria deve essere necessariamente convocata a centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio, specificando che si tratta esclusivamente della convocazione relativa all’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2020. Pertanto, per i bilanci 2021 e 2022 il termine di approvazione è quello ordinario di 120 giorni successivi alla chiusura dell’esercizio sociale. Dopodiché, nell’approfondimento si analizza il differimento del termine di convocazione per l’approvazione del bilancio e le “particolari esigenze” che possono autorizzare gli amministratori a prorogare la scadenza della convocazione assembleare (art. 2364, comma 2, c.c.). Occhi puntati, poi, sull’estensione all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023 della facoltà di sospendere l’ammortamento del costo delle immobilizzazioni materiali e immateriali, per tutti i soggetti che non adottano i principi contabili internazionali, con le indicazioni per le micro-imprese che decidono di avvalersi della deroga. Nel Documento, spazio, infine, all’estensione alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2022 della disciplina di “sterilizzazione” prevista in origine dal D.L. n. 23/2020, per cui non si applicano alcuni obblighi previsti dal Codice civile per le società di capitali, a protezione del loro capitale sociale.

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Codice della Crisi d’impresa: gli accordi sui crediti tributari e contributivi

Codice della Crisi d’impresa: gli accordi sui crediti tributari e contributivi

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, focus sul trattamento dei crediti nell’ambito dei concordati preventivo e minore

Tutto quello che c’è da sapere sulla transazione dei crediti tributari e contributivi, prevista dal nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (adottato con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 4 ed entrato pienamente in vigore il 15 luglio 2022) e sul loro trattamento nell’ambito del concordato preventivo e del concordato minore, nell’ultimo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Codice della crisi d’impresa: gli accordi sui crediti tributari e contributivi”, diffuso oggi, 23 marzo. In primo luogo, il documento descrive il procedimento della transazione, sottolineando come questa sia esperibile nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, di quelli agevolati nonché di quelli a efficacia estesa (artt. 57, 60 e 61 del Codice) e descrivendo le varie fattispecie. Focus, subito dopo, sull’art. 63, che regola la transazione su crediti tributari e contributivi, e sull’istituto dell’omologazione forzosa (cd. cram down), inserito dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 con l’obiettivo di dare efficacia alla suddetta transazione: in virtù del meccanismo, infatti, il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte degli enti previdenziali interessati in una serie di ipotesi, descritte all’interno dell’approfondimento. Sotto la lente, infine, gli artt. 88 e 80 del Codice, che disciplinano il trattamento dei crediti tributari e contributivi nell’ambito, rispettivamente, del concordato preventivo e del concordato minore. Obiettivo delle disposizioni − si legge nell’approfondimento – “è quello di tutelare non solo i creditori e, nel caso di specie, gli interessi erariali di cui sono portatori, ma anche la conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa, in particolare dei livelli occupazionali”.

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Legge di Bilancio 2023: le ulteriori novità fiscali

Legge di Bilancio 2023: le ulteriori novità fiscali

Nell’approfondimento della Fondazione Studi, focus su regime forfetario, flat tax incrementale e partite Iva

L’innalzamento a 85mila euro della soglia di ricavi e compensi percepiti nell’anno precedente per accedere al regime forfetario agevolato; la “flat tax incrementale” al 15%; il rafforzamento dell’attività di presidio preventivo connesso all’attribuzione e all’operatività delle partite IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate. Sono alcune delle modifiche introdotte dalla legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), oggetto dell’ultimo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Legge di Bilancio 2023: le ulteriori novità fiscali”, diffuso oggi, 14 marzo. Rispetto alle novità in materia di regime forfetario (art. 1, comma 54), il documento ricorda anzitutto i destinatari della misura e gli sconti fiscali che questa comporta, tra cui l’applicazione al reddito imponibile di un’unica imposta (15%), sostitutiva di quelle ordinariamente previste; per poi descrivere i diversi scenari possibili in caso di compensi/ricavi superiori o inferiori ai 100mila euro, nonché le conseguenze della clausola antielusione. Subito dopo, l’approfondimento passa a esaminare nel dettaglio la “flat tax incrementale” (art. 1, commi 55-57), fornendo anche utili esempi di calcolo del nuovo regime di tassazione introdotto dalla Manovra. Sotto la lente di ingrandimento degli esperti della Fondazione Studi, anche l’art. 1, commi 148-150, della Legge di Bilancio 2023, che rafforza l’attività di presidio preventivo relativo all’attribuzione e all’operatività delle partite IVA, riconoscendo all’Agenzia delle Entrate la possibilità di effettuare specifiche analisi del rischio. Precisate altresì le modalità attraverso cui è possibile richiedere nuovamente la partita IVA in caso di provvedimento di cessazione, nonché il regime sanzionatorio applicabile.

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Flussi 2022: tutte le novità del decreto

Flussi 2022: tutte le novità del decreto

Nell’approfondimento della Fondazione Studi spazio anche alle procedure da seguire, come quelle di verifica e asseverazione dei Consulenti del Lavoro

Sotto la lente d'ingrandimento della Fondazione Studi tutte le novità introdotte dal decreto Flussi 2022 (D.P.C.M. DEL 29 dicembre 2022), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 21 del 26 gennaio scorso. A partire dall’obbligo del datore di lavoro di controllare preventivamente nel Centro per l’Impiego competente che non sia disponibile al lavoro un lavoratore italiano o comunitario già presente nel territorio nazionale. Ma anche i tempi per il rilascio del nulla osta al lavoro e del visto di ingresso (da rilasciare entro 20 giorni dalla domanda), una “sanatoria”per i lavoratori già presenti in Italia dal 1° maggio 2022 e l’attribuzione delle funzioni prima espletate dagli ispettori territoriali del lavoro ad altri professionisti, tra cui i Consulenti del Lavoro. È quanto illustrato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell'approfondimento dal titolo “Decreto Flussi 2022: novità e ruolo dei Consulenti del Lavoro per la richiesta del nulla osta” diffuso oggi, 2 febbraio 2023. Nella prima parte del documento, le informazioni sulla quota massima di ingressi di cittadini stranieri residenti all’estero, la ripartizione delle unità destinate al lavoro stagionale e al lavoro autonomo, la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato, modalità e requisiti per presentare la domanda a partire dal prossimo 27 marzo e i casi in cui è possibile procedere alla richiesta del nulla osta allo sportello unico per l’immigrazione. A seguire, le verifiche che i Consulenti del Lavoro sono tenuti ad eseguire, l’ulteriore documentazione da acquisire e la procedura di asseverazione. All'interno dell'approfondimento anche il link al modulo per la richiesta di personale ai fini della verifica di indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale, che il datore dovrà compilare e inviare al Centro per l’Impiego competente.

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